Archivio dicembre 2011

Togunà Interactive è morta

Togunà Interactive LogoTogunà Interactive è morta, cancellata definitivamente dal registro delle imprese di Como.
Un insignificante -1 per le statistiche delle imprese che chiudono e 5 persone che sono andate ognuna per la propria strada.

Tre anni fa ne celebravo la nascita, pieno di speranze per il futuro.
L’idea era buona, qualcuno diceva, ma un’idea è nulla senza un’esecuzione altrettanto buona, come sa bene chi prova ad avviare una startup tecnologica.

Mi ero impegnato a tempo pieno in questa avventura e sicuramente ho commesso degli errori, a partire dalla scelta dei soci coi quali fondare la società.
Ed è proprio su questo tema che vorrei condividere una serie di consigli basati sulla mia esperienza, sperando possano essere utili ad altri startupper.
Ne ho letti tanti di decaloghi che abbracciano i diversi aspetti della vita di una startup, dalla costituzione agli impegni finanziari.
Questo è dunque focalizzato sul rapporto coi soci:

  1. La “chimica”: assicuratevi che ci sia tra voi e i vostri compagni di avventura. Si tratta di quella sensazione che nasce dal brivido positivo di una stretta di mano e ti fa sentire bene in compagnia di una persona. Nel mio caso non c’era fin dall’inizio con due dei miei quattro soci, con le dovute conseguenze negative.
  2. Psicologia del denaro: il denaro è uno strumento importante, da gestire con consapevolezza e senza pregiudizi. Parlarne fin dall’inizio coi futuri soci è utile per cogliere segnali quali una paura eccessiva di doversi indebitare, o l’intenzione di voler far tutto senza spendere un centesimo. Sono segnali di uno scorretto approccio all’uso del denaro che serve per avviare una startup, in genere molto poco per una startup che fa software. Io ho sottovalutato questi segnali da parte del socio che, sulla carta, aveva più competenze in materia.
  3. Penali nei patti: può sembrare fastidioso, ma se dovete siglare dei patti parasociali che impegnino i soci a dare il proprio contributo di tempo alla startup, è meglio quantificare e fissare delle penali, anche pecuniarie, nel caso gli accordi non vengano rispettati. Noi non l’abbiamo fatto, rendendo di fatto inutili i patti.
  4. Competenze complementari: credevo che fosse importante avere soci con competenze diverse e avevamo messo in evidenza la cosa sul nostro sito e nelle presentazioni del team. In effetti lo è, ma non quando lo sono in maniera netta, senza un minimo di sovrapposizione. Nel mio caso nessuno dei miei quattro soci usava smartphone o PDA e pertanto dipendevano da me anche per le questioni tecniche più spicciole.
  5. Lavoro a distanza: si possono fare grandi cose anche se si lavora senza contatto fisico, certo, ma credo che le cose migliori avvengano quando questo contatto c’è stato e si è consolidato in passato. Un contatto che nel nostro caso non è stato raggiunto (o voluto) anche quando abbiamo preso in affitto un ufficio che l’avrebbe consentito.
  6. Spocchiosità: si parte con umiltà in una startup, e la spocchia rappresenta l’atteggiamento diametralmente opposto. Dopo aver creato un prodotto che piaceva, quando discutevo delle soluzioni dei concorrenti, prevalevano frasi e atteggiamenti spocchiosi nei commenti dei soci. Intanto gli altri fatturavano e noi stavamo a guardare.
  7. Dietrologia: avere nella compagine sociale “esperti” di dietrologia fa solo male e annichilisce lo spirito d’iniziativa. Gli scenari in una startup si fanno solo al futuro, non al passato, magari rimarcando gli errori fatti per ripicca o sadismo personale.
  8. Riunioni: sono più efficaci se brevi e pianificate all’inizio della settimana lavorativa. Noi facevamo riunioni fiume il giovedì sera o il venerdì, unico momento possibile per gli impegni lavorativi dei miei soci. La settimana era praticamente finita, e il weekend, nel quale ovviamente nessuno preferiva essere disturbato, era alle porte. Ricordo che un consulente esperto col quale avevo parlato del nostro modo di fare riunioni, l’aveva ironicamente definito come il “circolo del bridge”.
  9. Sindrome del Palio di Siena: così l’ha definita un giornalista italiano che segue il mondo delle startup. E’ una malattia tipicamente italiana che si verifica quando l’obiettivo diventa “va bene perdere, l’importante è che tu non vinca”, ad esempio nello scontro tra soci. Non c’è cura a questo virus. Probabilmente nasce da un sentimento di gelosia negativo (perché c’è anche quello positivo che ti spinge a fare meglio).
  10. Mentore: poter contare sulla figura di un mentore, vale a dire una persona di esperienza, al di sopra delle parti e rispettata da tutti i soci, è tra le cose più importanti per una startup. E’ anche tra le più difficili da trovare, perciò tenete le “antenne” attive fin dall’inizio per individuarla tra le persone che conoscete o che incontrate. Io ho trovato un mentore troppo tardi, quando ormai le cose andavano male, ma è stato importante lo stesso.

Spero siano consigli utili. Quanto al mio caso specifico, forse ci vorrebbe un libro per raccontare l’intera vicenda dalla quale sono scaturiti.
Se siete in dubbio sulla scelta dei soci, piuttosto che rischiare che la mediocrità si faccia strada nella vostra compagine sociale, il mio consiglio è: partite da soli e dedicatevi al vostro progetto.

FATE, e dato che il talento attrae talento, troverete sicuramente soci migliori lungo la strada.

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